La funzione docente

contributo alla discussione a cura di Rosalia Gambatesa e Antonio Maiorano

Reclutamento e formazione in ingresso

Il documento del governo “La buona scuola” prevede un piano di reclutamento straordinario: 150.000 nuove assunzioni entro l’a.s. 2015-16 attingendo per il 90% alle GAE e al contingente degli abilitati dell’ultimo concorso del 2012. Questo comporterà lo svuotamento delle GAE e il mantenimento di una sola fascia di abilitati nelle graduatorie d’istituto.

Per realizzare questo piano, ci saranno deroghe relative al vincolo di destinazione e a quello di classe di concorso in funzione della reale utilità per la scuola di questi nuovi docenti. Per fare ciò è previsto un piano di censimento, entro dicembre 2014, per capire il numero esatto e la distribuzione. Nel caso il numero delle persone delle GAE disponibili non sia sufficiente al piano, verranno integrati i laureati in scienze della formazione primaria vecchio ordinamento e i c.d. congelati SISS. L’impegno di spesa è stimato in ca. 3 miliardi adesso che arriveranno a 4 tra dieci anni.

Oltre a questo piano verrà  bandito, entro la primavera del 2015, un concorso, per 40.000 posti, valido per un triennio, così da cambiare la scuola italiana con l’immissione di una massa critica sintonizzata sul mondo globale, aperto agli abilitati, a quelli del TFA, I e II ciclo, e infine ai non abilitati, laureati prima del 2001-02 (legge 124 del 1999). Nelle modalità di selezione verrà dato maggior peso alla lezione o alla risoluzione di situazioni pratiche e meno ai titoli in modo da selezionare realmente i candidati migliori e più adatti a trasmettere le loro conoscenze. Le graduatorie di merito saranno nazionali con possibilità di esprimere preferenze locali, ma non invalicabili.

Questo piano risponde anche alla procedura di infrazione per la non corretta applicazione della direttiva 1990/70/CE relativa al lavoro a tempo determinato.

Per il futuro la formazione degli insegnanti sarà affidata ad un biennio universitario specialistico a numero chiuso, seguito da un semestre di tirocinio in una scuola guidato da un docente mentor che si concluderà, in caso di valutazione positiva, con il conseguimento dell’abilitazione, e che in caso contrario potrà essere ripetuto una seconda volta.

Il piano straordinario di reclutamento dei 150.000 mila docenti risponde certamente alle istanze di chi lavora nella scuola da tempo, si è formato a insegnare e finora non ha visto realizzata la propria giusta aspettativa lavorativa. Si tratta ancora una volta però di una massa di insegnanti composita ed eterogenea e lascia pensare il fatto che ci si esprima a proposito di ‘reale utilità’ solo in termini di numero e distribuzione. Per quanto riguarda il biennio futuro di formazione, nonostante l’affermazione della centralità del concorso, che resta costituzionalmente la via maestra per l’assunzione in servizio, rimane la grave aporia della formazione di una categoria professionale affidata per due anni a un’altra categoria professionale, che della prima ignora, come è giusto che sia,quasi tutto.

L’articolazione dell’organico

A seguito dell’assunzione di tutti i precari inseriti nelle GAE, il documento prevede il superamento della distinzione tra organico di fatto e organico di diritto. Infatti tra i nuovi docenti circa 50000 saranno assunti su posto-cattedra, 18800 per rafforzare l’insegnamento di musica, arte e educazione fisica, e circa 60000 nella scuola dell’infanzia e primaria e 20000 nella scuola secondaria come organico funzionale o “dell’autonomia”, a disposizione di scuole o reti di scuole per svolgere compiti legati all’ampliamento dell’offerta formativa e coprire le supplenze brevi, oltre che per rendere possibile il tempo prolungato e il tempo pieno nella scuola del primo ciclo.

Resterà probabilmente una quota ineliminabile di supplenze brevi che saranno coperte attingendo dalle graduatorie di istituto (ridotte ad un’unica fascia di docenti abilitati).

Al singolo docente sarà concessa la possibilità di mobilità professionale, da posto-cattedra a organico funzionale e viceversa per svolgere esperienze diverse.

L’ampliamento degli organici è sicuramente positivo dopo gli sciagurati tagli gelminiani, così come alcuni obiettivi dichiarati sono senza dubbio condivisibili, in primis l’aumento dell’offerta di tempo prolungato e tempo pieno nella scuola primaria. Altre dichiarazioni sanno un po’ di escamotage, come l’aumento di ore di educazione fisica, musica e arte, certo benvenute, ma sicuramente non tra le priorità assolute.

Non del tutto chiara la distinzione tra i compiti dell’ “organico dell’autonomia”: come avverrà il bilanciamento, ad esempio, tra ore di supplenza e ore di supporto all’offerta formativa? e come queste saranno inquadrate in un orario di servizio settimanale, per quanto più o meno flessibile? Sarà adottata una soluzione unica, o sarà materia di progettazione formativa delle istituzioni scolastiche? Il rischio è quello di un ruolo da tappabuchi non certo gratificante né qualificante, una sorta di precariato didattico a tempo indeterminato. Tuttavia, per quanto la memoria delle D.O.A. degli anni ’80 e ’90 non sia felice, la disponibilità di un organico funzionale potrebbe rappresentare un’opportunità in grado di fornire un valido strumento all’autonoma progettazione delle scuole, purché non venga piegate a logiche estrinseche e puramente strumentali.

Carriera, crediti e valutazione

Il Governo ha intenzione di definire un nuovo status giuridico dei docenti per intervenire sul meccanismo di progressione di carriera.

Saranno infatti aboliti gli scatti di anzianità e introdotto il sistema degli scatti di competenza triennali, mentre resterà la possibilità per il docente di ricoprire incarichi aggiuntivi retribuiti.

Gli scatti di competenza saranno assegnati ogni 3 anni al 66% dei docenti di ogni scuola e corrisponderanno a circa 60 euro lordi mensili.

I 2/3 dei docenti da retribuire saranno scelti in base ad un sistema dei crediti che comprenderà crediti didattici (relativi alla qualità dell’insegnamento in classe), crediti formativi (relativi a percorsi di formazione e ricerca) e crediti professionali (relativi agli incarichi ricoperti all’interno della scuola).

Il portfolio del docente sarà vagliato dal nucleo di valutazione interno alla scuola, sulla cui composizione non viene detto nulla di preciso, tranne il fatto che vi sarà un membro esterno (designato da chi?).

Infine altre innovazioni: l’istituzione della figura del “docente mentor”, una sorta di superdocente (designato ogni tre anni dal nucleo di valutazione tra i docenti che hanno ricevuto tre scatti stipendiali consecutivi), il quale sarà il responsabile della valutazione, della formazione in servizio e seguirà il lavoro dei tirocinanti; l’istituzione, a parità di orario, di una banca-ore con le ore che ciascun docente ‘guadagna’ nei giorni di sospensione dell’attività didattica deliberati dal collegio dei docenti e che dovrà ‘restituire’, l’istituzione di l’istituzione del Registro Nazionale dei Docenti, che metterà in rete il portfolio di tutti i docenti (e del resto del personale) di ogni scuola, esso avrà la funzione di facilitare (?) la mobilità dei docenti, rendendo possibile ai D.S., sentiti gli organi collegiali, di chiamare nella propria scuola (come?) i docenti più adatti a sviluppare le attività con cui intende realizzare l’autonomia e la flessibilità della scuola. Allo stesso modo il sistema della premialità dovrebbe servire a riequilibrare le professionalità presenti nelle scuole perché docenti “mediamente bravi” saranno incentivati a trasferirsi in scuole dove i docenti sono meno “bravi” per accaparrarsi più facilmente lo scatto di competenza.

Quella relativa ai docenti è la parte decisamente più discutibile de “La buona scuola”.

Se da un lato è positiva l’enfasi sulla formazione come leva di crescita professionale, anche se bisogna augurarsi che questo non si traduca in una corsa al credito formativo da pagare profumatamente, magari alle università telematiche, è sicuramente molto discutibile l’introduzione di una presunta meritocrazia… a costo zero (è detto chiaramente che il monte stipendi resterà invariato).

Il costo che si rischia di pagare è invece quello della distruzione del residuo di collegialità e cooperazione che sopravvive nella scuola, di fronte a un meccanismo in cui un docente su tre resterà indietro sul fronte retributivo e reputazionale. L’insegnamento appare, secondo una visione vetero-accademica dura a morire, una attività sostanzialmente individuale e individualistica, in cui sarebbe estremamente facile separare il grano dal loglio, addirittura spingendo una quota di docenti ad una emigrazione virtuosa in terra infidelium per portare il verbo della buona scuola.

Infine alcuni aspetti da precisare, su cui il documento glissa con sospetta eleganza: la composizione del Nucleo di Valutazione interno, il ruolo preminente tra i docenti del mentor, quasi una figura gerarchicamente intermedia, per quanto non sistemica, la possibilità di chiamata quasi diretta (per le attività aggiuntive?) di docenti da parte del D.S.

Competenze e formazione in servizio

Il documento del governo valorizza la professionalità dei docenti che ritengono come compito prioritario il miglioramento della qualità dell’insegnamento-apprendimento attraverso il lavoro d’aula. Per ciò una parola d’ordine è formazione in servizio, intesa come possibilità di riflettere in maniera sistematica sulle pratiche didattiche, di intraprendere ricerche, di valutare l’efficacia delle pratiche educative e se necessario modificarle, di lavorare con i colleghi, i genitori e il territorio:  un’occasione insomma di crescita professionale grazie alla quale offrirsi anche una mobilità di carriera e offrire una preparazione migliore agli studenti.  In Italia, la formazione in servizio fa registrare un calo di partecipazione di 10 punti percentuali dal 2008 e, invece, definita a livello d’Istituto e superando modelli teorici e incentivando modelli incentrati sulla formazione esperienziale tra colleghi, grazie ad una stretta connessione con la progressione di carriera e l’ottenimento di determinati incarichi,  va resa obbligatoria attraverso un sistema di Crediti Formativi da raggiungere ogni anno. La nuova formazione farà leva su quattro elementi fondamentali, il ruolo centrale dei docenti, la valorizzazione delle associazioni professionali, le reti di scuole inclusive e trasversali, gli innovatori naturali che dovranno avere la possibilità di concentrarsi sulla formazione. Accanto alla formazione c’è la parola d’ordine merito che risponde a quei docenti che già lavorano con competenza e passione.

Gli insegnanti devono oggi essere capaci di insegnare modi di pensare, metodi di lavoro, e abilità per la vita e per lo sviluppo professionale, pertanto una gruppo di lavoro composto da esperti del settore lavorerà tre mesi a riformulare il quadro italiano di competenze dei docenti nei diversi stadi di carriera.

E’ positivo che nel documento, per la formazione in servizio, si faccia riferimento al protagonismo delle associazioni professionali e dei docenti stessi, in particolare per le iniziative realizzate nel contesto delle istituzioni scolastiche, in un settore che negli ultimi tempi è stato monopolizzato dalle università, soprattutto telematiche, con risultati non sempre qualitativamente significativi.

Tuttavia, il sistema dei crediti formativi, già in uso in altre amministrazioni, è molto sospetto di burocratismo, soprattutto se si lega la formazione al merito e alla progressione di carriera. Non sarebbe più coerente, dato il compito della scuola, richiedere agli insegnanti in ingresso l’attitudine alla formazione continua come qualità professionale strategica? Così, altrettanto poco raccomandabile è l’idea di istituire dall’alto un gruppo di lavoro di esperti, e chi sono?, che individui le competenze dei docenti.  E come si farà se l’enorme massa di  docenti che verranno assunti adesso, non avrà queste competenze, che ancora peraltro non si sanno? E dunque a cosa servirà questo profilo di competenze?

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